Moot Court Competition | Intervista alla squadra di Giurisprudenza vincitrice del concorso internazionale
Carlotta Rambaldi, Filippo Faccin e Alexandra Busuioc, studentesse e studente del Dipartimento di Giurisprudenza di Unife, sono i vincitori della Moot Court Competition, la competizione internazionale sulla Carta Sociale Europea riservata ai giovani.
Sotto la guida della professoressa Silvia Borelli e della dottoressa Ilaria Aquironi, la squadra Unife si è cimentata con successo nella simulazione di una procedura di reclami collettivi dinanzi al Comitato europeo dei diritti sociali, prendendo le parti dell’organizzazione sindacale di un gruppo di lavoratori transfrontalieri.
Dopo la grande emozione della seduta finale che li ha visti vincitori, lo scorso 1° aprile a Bruxelles, li abbiamo intervistati per farci raccontare quest'esperienza.
Buongiorno e benvenuti, vi ringraziamo per aver accettato il nostro invito. Vi va di parlarci un po’ della Moot Court Competition? Di cosa si tratta?
Grazie a voi per l’invito. L’esperienza si basa sul lavoro di clinica legale avanzato intrapreso in Dipartimento: inizialmente abbiamo lavorato tre mesi su un caso di diritto del lavoro internazionale insieme ad altre studentesse e studenti. Prima di discutere il caso a Bruxelles abbiamo quindi svolto un periodo di tre mesi di preparazione, per capire come si lavora su un ricorso basato sulla Carta Sociale Europea su cui poi ci siamo orientati.
All’inizio abbiamo lavorato con una squadra più grande e, solo successivamente, le professoresse ci hanno chiesto chi volesse passare allo step successivo. A differenza dell'esperienza teorica in dipartimento, questa invece è un’esperienza pratica da cui si può imparare tanto, per questo abbiamo deciso di proseguire.
A che caso avete lavorato nello specifico?
Abbiamo lavorato a due corsi sulla Carta Sociale Europea, incentrata sui Diritti Sociali: nel primo corso abbiamo scelto noi il caso da trattare, mentre nel secondo ci è stato affidato.
La seconda simulazione trattava la situazione di alcuni lavoratori transfrontalieri il cui impiego era subordinato al vaccino contro il Covid-19, pena il licenziamento, ma che non potevano ricevere il vaccino nel paese d'origine.
Siamo stati chiamati a proteggere gli interessi dei lavoratori, poiché il caso era incentrato sulle discriminazioni e sulle violazioni dei diritti al lavoro.
Difendere i diritti di chi lavora per noi ha significato mettersi alla prova in un contesto in cui le persone sono poco tutelate, quasi mercificate. Ma le lavoratrici e i lavoratori sono prima di tutto individui: bisogna rispettarli e rispettare i loro diritti, non si può mettere l’interesse collettivo prima di quello individuale. Metterci del nostro per far valere tali ideali è stato emozionante.
Come vi siete preparati per la competizione?
A novembre abbiamo ricevuto il caso di studio e abbiamo avuto tempo fino a dicembre per presentare due domande alla commissione.
Il dibattito poi si è svolto a febbraio, ci abbiamo impiegato un mese e mezzo per completare l’elaborato.
Per arrivare all’elaborato finale abbiamo dovuto svolgere diverse ricerche, risultate poi utili anche per la fase orale.
Prima di arrivare ad avere un testo completo abbiamo presentato diverse bozze alle professoresse, c’era sempre qualcosa da correggere: questo ci ha spronato a migliorarci sempre di più.
Inoltre, per la preparazione della fase orale abbiamo imparato a rielaborare i concetti del testo finale e a rispondere alle controproposte. Abbiamo anche cercare di immaginare le possibili domande che avrebbero potuto porci.
Com’è stato lavorare in team?
All'inizio ci siamo divisi molti compiti, per cui in una prima fase abbiamo lavorato molto individualmente.
Poi, mano a mano, il lavoro è diventato sempre più di gruppo. Abituarsi al nuovo schema è stato molto complicato ma, allo stesso tempo, è stata decisamente la parte più divertente.
Ogni membro, oltre a conoscere la propria parte, ha dovuto approfondire anche quella dei compagni: era fondamentale per affrontare la fase orale.
Noi tre siamo molto diversi, ma fin da subito abbiamo avuto la fortuna di trovarci bene. Anche con le prof si è instaurato subito un bellissimo rapporto. Anche perché ci hanno aiutato molto, sono sempre state presenti in tutto, e questo è stato fondamentale.
Come è stato scoprire di aver vinto? Siete soddisfatti del lavoro svolto?
Prima che venisse annunciato l'esito non sapevamo proprio cosa aspettarci. Non conoscevamo gli avversari, né avevamo avuto modo di visionare i lavori dei nostri competitor diretti, cioè di coloro che, come noi, difendevano le lavoratrici e i lavoratori. Anche alla prova orale abbiamo partecipato da soli, e non abbiamo potuto assistere a quelle degli altri concorrenti.
D'altro canto, altri concorrenti ci avevano detto che, leggendo il nostro lavoro, avevano intuito che saremmo arrivati in finale, perché era scritto molto bene.
Quando abbiamo scoperto di aver vinto, per prima cosa abbiamo voluto ringraziare le professoresse: se non fosse stato per loro probabilmente non avremmo mai raggiunto questo traguardo.
Siamo veramente soddisfatti di questa vittoria, la dobbiamo al nostro ottimo lavoro di squadra e alle professoresse che ci hanno seguito costantemente nel percorso.
Avete qualche consiglio da dare ai futuri studenti di giurisprudenza che parteciperanno a questa competizione?
Può sembrare impegnativo, ma non fatevi intimorire: sarete sostenute/i dai compagni di squadra e dalle docenti, sempre lì per aiutarti e sostenerti.
Certo, è un’esperienza che richiede tempo, dedizione e tante energie. Ma ne vale la pena.
Poi imparare a lavorare in team è fondamentale, soprattutto oggi, è una skill che nel mondo del lavoro è richiesta ovunque.
Non abbiate paura, quindi, se avete la possibilità di fare questa esperienza fatela assolutamente.
C’è qualcosa che vorreste aggiungere o di cui vorreste parlare che non è venuto fuori?
Ci teniamo a ringraziare l’Università di Ferrara che ci ha sempre sostenuti in questo nostro viaggio.
Il prossimo anno la competizione si svolgerà a Ferrara e una delle tutor sarà proprio la nostra Carlotta.
Per le professoresse. Avete anche voi un pensiero da condividere? Un consiglio da dare?
Ilaria Aquironi - Il lavoro di squadra è molto stimolante, complesso: personalità diverse si trovano a dover lavorare e ragionare insieme. Non è la prima esperienza alla Moot Court che faccio e ogni anno capitano sempre studentesse e studenti con caratteri diversi da far interagire e far lavorare assieme. È un aspetto che forse manca nelle università perché si tende a studiare da soli, manca il lavoro di gruppo cosa che invece c’è sempre nel mondo del lavoro. È fondamentale anche il ruolo di chi queste squadre le coordina, non è sufficiente cercare di correggere i lavori ma è fondamentale cercare di instaurare un rapporto reciproco di fiducia e stima. Credo sia una parte fondamentale anche questa, che poi aiuta la squadra a raggiungere il proprio obiettivo.
Silvia Borelli - È la prima volta in tutti questi anni che noto davvero l’evoluzione delle studentesse e degli studenti: sono cresciuti davanti a me ed è stata un'esperienza meravigliosa. Sono passati dall’essere degli studenti di giurisprudenza a vincere la Moot Court. Vederli crescere così tanto è stata una delle esperienze più belle che mi siano capitate nella docenza. Insieme siamo riusciti a raggiungere questo risultato e ci siamo anche divertiti.
Intervista a cura di Ginevra Criveto, tirocinante del corso di laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione.